17.1. Produttività primaria e produttività sovvenzionata

Senza l’introduzione di misure di sostegno all’economia, come i trasferimenti e le sovvenzioni, il potere d'acquisto dei consumatori dipenderebbe esclusivamente dalla capacità produttiva del loro lavoro. Per essere più precisi, il potere d’acquisto dipenderebbe dalla volontà dei datori di lavoro di premiare la produttività dei propri dipendenti attraverso l’erogazione di un salario equo rispetto al margine di profitto che intendono perseguire. Possiamo definire questo processo con l’espressione produttività primaria individuale.

Qual è il significato di questa formula e come viene determinata la produttività primaria?

Immaginate una sarta, impiegata in una fabbrica che realizza T-shirt. Data una sua certa capacità produttiva, la sarta è in grado di guadagnare, supponiamo, 200 $ al mese.  Il suo salario è determinato dalla quantità di denaro che i potenziali consumatori sono disposti a pagare per una T-shirt (poniamo 10 $) e dal profitto che l’azienda intende perseguire.  L’operaia in questione non può ricevere un salario più elevato, perché se percepisse 400 $ al mese, la T-shirt dovrebbe costare 20 $ e l’azienda non riuscirebbe a vendere neppure una maglietta, a causa della concorrenza esercitata dalle imprese competitrici. Se i potenziali clienti fossero disposti a pagare una maglietta 30 $, il salario della nostra ipotetica sarta ammonterebbe a 3 x 200 = 600 $, ossia tre volte il totale del salario che abbiamo immaginato poco sopra. Il compenso di quest’operaia risulta, quindi, determinato dalla nostra disponibilità ad accettare o meno un dato prezzo e dalla quantità di prodotti che le imprese immettono sul mercato.
Poiché per il consumatore tipo una T-shirt è una necessità basilare, egli non è disposto ad accettare di pagare per il suo acquisto prezzi elevati (anche perché se venissero proposte cifre alte, le imprese concorrenti aumenterebbe la produzione e fornirebbero al mercato gli stessi articoli a prezzi più contenuti, spingendo al ribasso il costo unitario del prodotto).

Il risultato di questi vincoli imposti dal mercato è che la sarta, la quale svolge un lavoro necessario e utile, è condannata alla povertà.  Il suo salario sarà sempre basso e, in conseguenza a ciò, anche il suo potere d'acquisto risulterà esiguo. E lo stesso principio vale per molte professioni considerate essenziali: i produttori di generi alimentari non sono in grado di guadagnare più di quanto i consumatori sono disposti a pagare per carote e lattuga, i barbieri non riescono a realizzare un profitto più elevato di quanto i loro clienti vogliono pagare un taglio di capelli e così via.

Quanto più interpretiamo il prodotto come una necessità di base, tanto meno siamo pronti a pagare per esso: la pressione sui prezzi è, quindi, molto forte. Ciò conduce al paradosso per cui i lavoratori che forniscono i prodotti e i servizi più basilari, sono anche i più poveri. Questa miseria, però, non è imputabile a una loro colpa: il loro lavoro è, in realtà, indispensabile!

Essi non hanno commesso alcun crimine; non hanno sbagliato, decidendo di non perseguire un percorso di istruzione superiore (anche se avessero ottenuto un dottorato di ricerca, svolgendo le professioni di cui sopra, riceverebbero comunque una retribuzione bassa. E poiché la società nel suo complesso non può fare a meno di questi mestieri, avremmo sarte e produttori di generi alimentari in possesso di un PhD, ma con salari sempre irrisori).

Non possiamo sopravvivere senza i beni e i servizi forniti da questi lavoratori, per cui, spinti dal fenomeno della pressione al ribasso sui prezzi, non possiamo far altro che cercare l’opzione per noi economicamente più conveniente. In questo modo costringiamo naturalmente i lavoratori a una condizione di povertà, perché la loro produttività primaria è comunque determinata dalla quantità di lavoro umano necessario per fornire quei beni o quei servizi, nonché dalle nostre aspettative rispetto ai prezzi (se fossimo disposti a pagare un pezzo di pane 10 $, i fornai sarebbero sicuramente ricchi, ma dubito che siamo pronti a sborsare tanto).

Il fatto che la produttività primaria dei lavoratori sia bassa ha un impatto anche sulla quantità di beni e servizi che una società è in grado di produrre, ossia di vendere.

Una sarta che guadagna solo 200 $ al mese non può certo acquistare un’automobile, che però una casa automobilistica è in grado di fabbricare in centinaia di migliaia di esemplari al mese: la capacità produttiva di tale industria, infatti, non ha nulla a che spartire con quella della sarta. La stessa sarta non avrà i mezzi per recarsi al salone di bellezza, che ha invece una disponibilità e una capacità, ora inutilizzate, di gestire qualche cliente in più. La sarta, allo stesso modo, non può godere dei piaceri della vita, proposti con tanta abbondanza nella nostra società e questo sempre perché il suo salario è basso: le imprese che offrono servizi di vario tipo sarebbero, al contrario, abbondantemente in grado di soddisfare un’eventuale domanda aggiuntiva, perché la loro produttività è legata a fattori autonomi.

La produttività dei diversi settori industriali è determinata da parametri non interdipendenti, che ben poco hanno a che fare con la produttività primaria di ciascun settore, stabilita dalla nostra percezione dei prezzi.
Tuttavia, la capacità produttiva reale dei diversi comparti industriali (e quindi il profitto che ne ricavano) è fortemente influenzata dalla produttività primaria degli altri settori produttivi e dal potere d'acquisto che ne deriva.

Gli esigui salari dei lavoratori che operano in attività a bassa produttività primaria implicano, per tutte le altre imprese, una riduzione del potere d'acquisto complessivo disponibile, perché i dipendenti = clienti sono mal retribuiti. Nonostante non esista alcun legame diretto tra le diverse attività economiche prese in esame, i bassi salari fanno sì che le vendite e i profitti delle aziende “floride” siano condizionati dalla bassa produttività delle aziende “deboli”.

L'aspetto sociale è ancora più importante: troppi lavoratori, che svolgono un’attività utile e onesta, vivono INGIUSTAMENTE in povertà e spesso non sono in grado di permettersi quei prodotti e servizi che sono erogati a tutti, a prescindere dalla professione esercitata.

Un ruolo importante in questo processo è svolto anche dalla percezione fuorviante che il lavoro onesto non paga e che solo i maneggioni sono in grado di costruirsi una posizione finanziariamente solida. Le implicazioni di questa visione del mondo hanno conseguenze devastanti sull’intera società.

Date queste premesse, è arrivato ora il momento di introdurre il concetto di produttività sovvenzionata.

La produttività sovvenzionata è data dalla produttività primaria + un’eventuale sovvenzione.

La sovvenzione agisce nella direzione dell’eliminazione dei vincoli, altrimenti insormontabili, connessi al concetto di produttività primaria.
Non è possibile, cioè, aumentare il potere d'acquisto delle attività caratterizzate da una produttività primaria bassa semplicemente aumentando i salari dei lavoratori di questi settori (per esempio, tramite azioni sindacali volte a incrementare il salario minimo).

Se i compensi dei lavoratori crescessero in seguito all’introduzione dei salari minimi, ciò avrebbe come conseguenza solo una crescita dei prezzi, in quanto qualsiasi aumento salariale verrebbe incorporato nel prezzo finale del prodotto.
I dipendenti di altri settori, assistendo a un incremento dei prezzi di beni ritenuti necessari, richiederebbero a propria volta un aumento salariale, che comporterebbe però un riacutizzarsi di fenomeni inflattivi. I lavoratori dei settori a minore produttività primaria non godrebbero, alla fine, di alcun aumento reale del loro potere d'acquisto e dei loro standard di vita.

L'unica strada percorribile è l’introduzione di forme di sovvenzionamento: esse non causano, infatti, alcun incremento dei prezzi. Con le sovvenzioni il livello dei prezzi rimane invariato e l’aumento dei salari nominali ha come conseguenza un impatto reale sul potere d'acquisto dei lavoratori che prestano la propria opera in settori a bassa produttività primaria.

L’aumento del potere d'acquisto di questi lavoratori ha come effetto che altri settori industriali registrano un incremento della produzione e delle vendite.
Il risultato finale è la rimessa in funzione del cosiddetto ascensore sociale e una radicale confutazione del teorema per il quale i poveri sono destinati a rimanere tali:

 

 

Grazie alle sovvenzioni è possibile introdurre un modello sociale più equo, rappresentato dalla seguente tabella:

 

 

Per riassumere:

Se, data la sua produttività, l’azienda A è in grado di erogare ai propri lavoratori salari a livello X, questo non significa che l’azienda B, che dipende da questi salari in quanto essi alimentano le sue vendite, non sia capace potenzialmente di generare beni e servizi per una quantità Y, dove Y > X. L’azienda B è limitata nella sua produzione per la vendita dai salari X, anche se la sua reale capacità produttiva potrebbe essere molto più elevata.
Questi limiti conducono a una riduzione della produzione e, quindi, a un calo dell’occupazione, delle vendite, dei profitti e delle tasse. L’introduzione delle sovvenzioni potrebbe anche far diminuire i prezzi di B, dato il maggiore volume di produzione e di vendita generato dai salari sovvenzionati, a fronte di un volume standard basato su salari non sovvenzionati, erogati sulla base della capacità produttiva originaria della società A. 

 

 

Tali forme di sovvenzionamento del potere d'acquisto attraversano l'intero mondo dell’economia. Senza i trasferimenti di denaro da parte dello Stato, di cui abbiamo trattato nei capitoli precedenti, determinati beni e servizi non sarebbero disponibili per tutti i cittadini. D’altra parte, interi settori industriali soffrirebbero, se il potere d’acquisto disponibile fosse inferiore alla loro capacità produttiva potenziale.