16.4 Il problema della “pinna“

 

Nel momento in cui il capitalismo fa la sua comparsa nella storia, la quantità di capitale è scarsa: c’è, cioè, meno capitale in circolazione di quanto sia l’ammontare complessivo dell’intera produzione di beni e servizi realizzato dall’economia reale. La velocità di circolazione del denaro all’interno di questo sistema economico è, pertanto, alta. Con il trascorrere del tempo si assiste a un processo di progressiva accumulazione del capitale non speso. La velocità di circolazione del denaro diminuisce, il suo costo si riduce, ma genera ancora forme di rendimento. Nel frattempo l’economia reale, grazie alle innovazioni tecnologiche e all’utilizzo di nuove fonti energetiche, prospera, determinando così fenomeni di crescita demografica e un conseguente aumento del numero complessivo delle transazioni. Questa crescita è limitata dalla quantità di energia utilizzabile e dalla disponibilità alimentare e si svolge secondo un andamento lineare. Il capitale, invece, cresce esponenzialmente, poiché è costituito anche dall’interesse composto. La differenza tra le caratteristiche della crescita demografica, del volume delle transazioni e dell’ammontare del capitale, dopo alcuni decenni, dà luogo a un fenomeno che ho denominato “pinna” (l’area occupata dal capitale rispetto all’economia reale ricorda la pinna di un pescecane e si adatta alla perfezione alle caratteristiche finanziarie e morali di un sistema economico improduttivo come questo).

Il “problema della pinna” è tale per cui il capitale accumulato, anche se il suo volume ha già ampiamente superato la portata dell’economia reale, continua a implicare la presenza di interessi. Questa situazione era già stata prevista da John Maynard Keynes nella sua opera Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta (The General Theory of Employment, Interest and Money). Nelle Note conclusive sulla filosofia sociale … (Concluding Notes on the Social Philosophy …), al termine del capitolo XXIV, il noto economista inglese scrive:

Considero, perciò, l’aspetto del capitalismo caratterizzato dall’esistenza del redditiero come una fase di transizione destinata a scomparire quando esso avrà compiuto la sua opera. E con la scomparsa del redditiero, molte altre cose del capitalismo subiranno un mutamento radicale.[1] Sarà, inoltre, un grande vantaggio nel corso degli eventi che qui preconizzo, se l’eutanasia del redditiero, dell’investitore senza funzioni, non sia nulla di improvviso, ma soltanto una graduale ma prolungata prosecuzione di quello che abbiamo visto recentemente in Gran Bretagna, e non richieda alcuna rivoluzione.[2]

JMK predisse che un’immissione continua di capitale nel ciclo economico ne avrebbe abbassato il prezzo fino a renderlo disponibile ai potenziali imprenditori a un costo molto basso. Il processo che l’economista definisce “eutanasia del redditiero” dovrebbe essere graduale e dovrebbe anche comportare una riduzione rilevante degli interessi, intesi come costo del capitale. Possiamo osservare questo fenomeno nel suo dipanarsi, nella misura in cui i rendimenti da dividendi decrescono e anche gli interessi bancari pagati ai depositanti sono sempre più bassi. Ma l’”eutanasia del redditiero” è un fenomeno che non si attua senza rilevanti effetti collaterali. Le immissioni sul mercato di sempre nuovo capitale ne provocano una diminuzione di prezzo, ma contribuiscono anche a creare la cosiddetta “pinna”, che implica ancora la presenza di interessi. Le politiche di allentamento monetario adottate dalle banche centrali contribuiscono ad aumentare l’altezza della “pinna”, dal momento che gli investitori richiedono comunque il pagamento di una certa quantità di interessi.

Immaginate solo che la vostra banca vi comunichi che d’ora in poi non riceverete più alcun utile sui fondi da voi depositati, perché nel sistema economico è presente una quantità di capitale eccessiva. Quale potrebbe essere la vostra reazione? Oso affermare che come minimo non sarebbe delle più distinte. E le conseguenze sarebbero ovvie: ritirereste di certo il vostro denaro da una banca i cui dirigenti elargiscono a se stessi bonus multimilionari, ma al contempo si rifiutano sfacciatamente di pagarvi gli interessi dovuti, farfugliando qualcosa a proposito dei problemi dell’economia.

L’aspetto redditiero del capitalismo è, pertanto, ancora ben presente; risulta oltretutto amplificato nelle sue dimensioni, poiché di quando in quando vengono adottate le misure di allentamento monetario necessarie a immettere potere d’acquisto supplementare all’interno del sistema economico. La nozione di allentamento monetario (inteso come stimolo sul versante dell’offerta) è stato affrontato nei primi capitoli di questa trattazione e si pone in relazione con il concetto di risorse supplementari mancanti, necessarie per una creazione di profitto sostenibile.

Se non si adottassero politiche di allentamento monetario, il capitale in eccesso continuerebbe comunque a richiedere i suoi interessi e li ricaverebbe dall’economia reale, realizzando con ciò quel drenaggio di risorse da parte del capitale che ho indicato con una freccia rossa nello schema di poco sopra. In conseguenza a questo fenomeno l’economia reale inizierebbe a soffrire di una spirale deflattiva. Il denaro, come noto, non cresce sugli alberi, esso deve avere una qualche provenienza e la seconda fonte di provenienza è ovviamente l’adozione di politiche di allentamento monetario (misura che sopraggiunge sempre quando l’opzione del debito si è esaurita e nessuno è più intenzionato a concedere prestiti allo Stato).

La “graduale eutanasia del redditiero” si svolge in modo decisamente troppo graduale e se non si provvederà a stabilire un limite temporale certo e definitivo oltre il quale non siano previsti interessi o rendimenti, la “pinna” continuerà a crescere indefinitamente. E, certo, continuerà a pretendere la sua dose di nuovo capitale. Anche immissioni di capitale trascurabili sono importanti in questo frangente, giacché la “pinna” si erge al di sopra dell’economia reale. La crescita esponenziale del capitale è troppo veloce perché l’economia reale riesca a tenervi il passo.

Come avviene a un tossicodipendente, senza dosi sempre più consistenti di allentamento monetario il sistema economico non può sopravvivere e si trova ad affrontare i terribili dolori da astinenza della recessione e della deflazione. 

L’allentamento monetario è una misura che non può essere adottata per sempre, poiché è esso stesso la causa di un’amplificazione progressiva del problema. Ciò che alla fine si verifica è la comparsa di fenomeni inflattivi, i quali sollevano la curva dell’economia reale al di sopra della curva del capitale, contribuendo così a ridurre la “pinna”:

 

L’inflazione diminuisce l’importo nominale del capitale in eccesso rispetto alle dimensioni dell’economia reale, riducendo di conseguenza radicalmente la necessità di applicare misure di allentamento monetario. Il capitale trae il proprio sostentamento dall’economia reale, con un piccolo aiuto fornito dal debito pubblico, come avveniva prima che si rivelasse necessario l’ allentamento monetario, e il ciclo si ripete nuovamente. Il problema nella sua urgenza è in parte risolto, ma al prezzo dell’avvio di un rilevante fenomeno inflattivo potenzialmente in grado di ostacolare il funzionamento dell’intero sistema economico, mentre il suo contenimento rappresenta una nuova fonte di rischio. Se, infatti, il processo di contenimento non andasse a buon fine, l’inflazione potrebbe trasformarsi in un’iperinflazione, in grado di annientare l’intero sistema economico e politico con conseguenze inimmaginabili.

La chiave per una buona riuscita è tenere sotto attento controllo lo sviluppo della “pinna” e utilizzare lo strumento dell’inflazione il prima possibile, prima cioè che sia troppo tardi. Ma le politiche adottate in questo periodo dalle banche centrali sono finalizzate a tenere a debita distanza l’inflazione e agiscono pertanto in una direzione che è opposta a quella da noi prospettata. In conseguenza a ciò la “pinna” continua a crescere e l’allentamento monetario è il gioco del giorno. Non è difficile comprendere le ragioni per cui l’inflazione non è benvenuta o capire i motivi per cui le banche centrali operano nella direzione di un suo contenimento. Il solo altro modo, però, per fronteggiare la problematica della “pinna” è di tagliarla di netto, introducendo una tassazione diretta sul capitale accumulato, come descritto nel capitolo “Tassazione periodica del capitale accumulato”.

 

Il processo di riduzione della “pinna” determina una diminuzione del drenaggio del capitale rispetto all’economia reale, che non ne subisce pertanto le ripercussioni negative nella misura in cui ne era toccata in precedenza. La quantità di capitale presente nel sistema riflette nuovamente la capacità reale di produzione di beni e servizi che il sistema economico è in grado di creare.

La riduzione del capitale previene l’insorgenza di fenomeni inflattivi e ristabilisce a breve termine quell’equilibrio che necessiterà comunque in futuro di un costante monitoraggio e di ripetuti aggiustamenti (mediante nuove riduzioni), nella misura in cui non si interrompe il processo di accumulazione del capitale. Questo è l’inevitabile ciclo che continuerà a esistere fino a quando saranno prodotti profitti non completamente consumati.

 

[1] Traduzione tratta da: Finzi Ghisi V., Forme di sapere e forme di vita, Bari, Edizioni Dedalo, 1981, p. 268

[2] Traduzione tratta da: Pulitini F. (a cura di), Tra Stato e mercato, Torino, IBL Libri, 2011, pp. 250-51